Ultimo aggiornamento: 30 novembre 2017
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Con un tweet lanciato nel mese di ottobre del 2017, il chirurgo della mammella Kefah Mokbel, esperto di cancro del seno e autore di diversi studi di genetica molecolare, ha annunciato di aver condotto una metanalisi (ovvero una revisione statistica di tutti gli studi esistenti in materia) sulla relazione tra l’uso di tinture per capelli e il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Secondo il chirurgo, che lavora in un noto ospedale londinese, il rischio aumenterebbe del 14 per cento per un uso mensile della tintura per capelli. La sua raccomandazione, quindi, è di non tingere i capelli più di sei volte l’anno. La metanalisi di Mokbel, che ha suscitato un discreto clamore, non è però stata pubblicata (nel momento in cui scriviamo) su una rivista scientifica e quindi non è dato sapere quali studi ha preso in esame e in che lasso di tempo.
La possibile relazione tra l’uso di tinture e cancro al seno era però già stata sollevata da Sanna Heikkinen, del Registro Tumori Finlandese, che in uno studio precedente aveva osservato un’associazione statistica tra i due fattori, pur precisando l’impossibilità di dimostrare una relazione di causa ed effetto tra il ricorso alle tinture e la malattia, perché le donne che si colorano i capelli fanno in media un uso maggiore anche di altri cosmetici.
Non si tratta però della prima volta che i ricercatori si interrogano sui possibili rischi associati all’uso delle tinture, pur non riuscendo a giungere a una risposta univoca.
Il numero di persone (prevalentemente donne, ma non solo) che fa ricorso alle tinture per capelli è in aumento in tutto il mondo: si stima che circa una donna su tre sopra i 18 anni e un uomo su dieci sopra i 40 si colori la chioma.
I coloranti attuali sono classificati in tre categorie: permanenti (che contengono sostanze ossidanti), semipermanenti (che possono contenere ossidanti in quantità inferiore oppure altre sostanze fissanti) e temporanei (che si lavano via dopo uno o due shampoo).
Nell’80 per cento dei casi, però, chi ne fa uso acquista o si fa applicare una tintura permanente.
Dal punto di vista chimico, nelle tinture per capelli vi sono composti non colorati (i cosiddetti intermediari, in genere della famiglia delle ammine aromatiche) e composti colorati che, in presenza di acqua ossigenata, reagiscono tra loro per formare le molecole di pigmento.
Più intenso e scuro è il colore, maggiore è la quantità di intermediari necessaria.
Una delle ragioni che rendono difficile studiare la relazione tra questi cosmetici e l’eventuale aumento di rischio di cancro è la complessità della composizione (oltre 5.000 diversi costituenti, alcuni dei quali sono già elencati tra le sostanze cancerogene per gli animali, sebbene a concentrazioni decisamente più elevate e per esposizioni più lunghe di quelle previste nell’uso umano).
L’altra difficoltà metodologica dipende dall’evoluzione delle tecnologie e dai tempi di sviluppo dei tumori. Le prime tinture per capelli contenevano alcune ammine aromatiche sicuramente cancerogene negli animali, eliminate dai produttori tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 del secolo scorso.
Poiché i tumori impiegano anche qualche decina d’anni a svilupparsi, gli studi epidemiologici effettuati oggi rilevano verosimilmente casi dovuti possibilmente agli effetti dell’uso di vecchie formulazioni, ma non possono dirci nulla sui rischi di quelle attuali, che saranno eventualmente osservabili tra qualche decina d’anni.
Un rapporto dello IARC (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS, responsabile degli studi sulla cancerogenicità delle sostanze), datato 2010, classifica le ammine aromatiche e altri coloranti anche naturali tra i carcinogeni probabili per l’uomo, ma valuta il rischio come consistente solo per i professionisti (parrucchieri e simili).
Altri studi hanno collegato l’uso personale delle tinture con un aumento di linfoma non Hodgkin e leucemia, ma altri ancora hanno smentito il legame (come peraltro accade anche con il cancro della mammella, associato all’uso delle tinture in alcuni studi, ma risultato indipendente in altri).
Sulla base di questi dati deboli e discordanti, lo stesso rapporto IARC conclude che le tinture per capelli non sono classificabili tra i carcinogeni umani se se ne fa un uso personale.
Diversi studi hanno valutato la relazione tra l’uso personale di tinture per capelli e il rischio di sviluppare un linfoma non Hodgkin, con risultati contrastanti, in parte dovuti al numero limitato di persone prese in considerazioni.
Un’analisi aggregata di quattro studi caso-controllo per un totale di circa 4.500 donne con linfoma non Hodgkin e quasi 6.000 persone sane ha dimostrato che le donne che hanno iniziato a tingersi i capelli prima del 1980 hanno un rischio aumentato di contrarre la malattia del 30 per cento circa. La percentuale può sembrare elevata ma, data la relativa rarità di questo linfoma, si tratta di pochi casi in più in numeri assoluti. Analizzando i sottotipi di malattia, i ricercatori hanno stabilito che sebbene il rischio riguardi soprattutto chi usava i coloranti prima del 1980, si riscontra un lieve aumento di linfoma follicolare (un sottotipo di linfoma non Hodgkin) anche in alcune donne che hanno usato i coloranti più scuri dopo tale data. Questi risultati sono compatibili con l’ipotesi che le tinture di vecchia data fossero più pericolose di quelle attuali, così come le tinture più scure.
Anche gli studi sulla relazione tra tinture e leucemia hanno mostrato risultati contrastanti. Uno studio caso-controllo, pubblicato nel 2004 sull’American Journal of Epidemiology, condotto in una popolazione statunitense e canadese di 769 pazienti con leucemia acuta e 623 individui sani, ha trovato un legame con l’uso di tinte semipermanenti o temporanee di vecchia concezione, ma l’aumento di rischio non è statisticamente significativo, mentre non ha trovato alcun nesso con l’uso di tinte più moderne.
Un altro studio italiano del 2005, pubblicato su Archives of Environmental and Occupational Health, invece non ha trovato alcun legame, se non un lieve incremento di rischio tra gli utilizzatori di colori molto scuri.
Anche in questo caso i risultati sono contradditori. Uno studio aggregato di 17 ricerche su cancro alla vescica e tinte non ha trovato alcuna relazione, ma studi più recenti (pubblicati tra il 2005 e il 2011) rilevano un lieve incremento statisticamente non significativo, in particolare con i colori più scuri. Gli studi sui professionisti (parrucchieri, coloristi), forniscono invece indicazioni diverse, dimostrando che conta anche la frequenza e il tempo di esposizione.
Uno studio pubblicato nel 2007 sulla rivista Critical Reviews in Toxycology dimostrava un aumento di rischio di cancro della vescica tra parrucchieri e barbieri, dato che era già nota la relazione tra questo tipo di tumore e l’esposizione ad alcune ammine aromatiche, che sono però presenti anche in altre sostanze usate da questi professionisti e non solo nelle tinture.
L’American Cancer Society è l’unica società scientifica ad aver preso una posizione chiara in merito, e la risposta è no, sebbene siano consigliate alcune precauzioni. L’ACS parte giustamente dal presupposto che gli studi attuali non dimostrano un rischio aumentato quantificabile e che l’origine degli aumenti rilevati in alcuni di essi può essere legato a stili di vita di cui l’uso delle tinture per capelli è solo un elemento fra molti. Tiene però conto del fatto che le sostanze contenute nei prodotti per colorare i capelli sono classificate come cancerogene dalle agenzie regolatorie, sebbene a concentrazioni molto più elevate di quelle presenti nei prodotti cosmetici e per tempi di esposizione impossibili da raggiungere con un uso normale (come accade per moltissime sostanze cancerogene a cui siamo costantemente esposti, dal caffè all’alcol, alla carne, per fare alcuni esempi pratici).
La Food and Drug Administration statunitense si limita a raccomandare di seguire con attenzione le istruzioni sulle confezioni, in particolare per quel che riguarda le proporzioni dei reagenti, l’uso di guanti duranti l’applicazione e i tempi di messa in posa. La stessa FDA, comunque, ribadisce che il rischio maggiore nell’uso delle tinture è di tipo allergico e non cancerogeno.
Infine conta molta il tempo di esposizione nel corso della vita: se si comincia a colorare i capelli fin dall’adolescenza, ci si espone a sostanze potenzialmente tossiche per tanto tempo, considerando che l’utilizzo più intenso è a partire dai 40 anni circa, per coprire i capelli bianchi.
Su questo tema non ci sono studi sufficienti per dare una risposta univoca, e infatti i consigli dei medici variano molto. In linea generale si sconsiglia l’utilizzo delle tinture durante la chemioterapia e nei sei mesi successivi, non tanto per un eventuale, remoto, rischio carcinogeno, quanto per le mutazioni della struttura del capello, che tende a ricrescere più fragile (quindi potrebbe cadere nuovamente se trattato in modo scorretto), e della pelle dello scalpo, più soggetta ad allergie.
Le linee guida degli oncologi medici in USA e Gran Bretagna suggeriscono di evitare (solo in questi particolari periodi) le tinture chimiche, facendo ricorso a quelle di origine esclusivamente vegetale (come l’henné e altre erbe). Attenzione però alla composizione delle tinture «erboristiche» vedute già pronte: spesso la componente colorante è di origine vegetale (henné o mallo di noce), ma le sostanze fissanti non lo sono (per esempio contengono quasi tutte acqua ossigenata o composti ossidanti per fissare il colore).
Agenzia Zoe