Staminali, la benzina del tumore

Si sente tanto parlare di cellule staminali, come possibile cura di molte malattie. Nel cancro, però, il loro ruolo è molto diverso: alimentano la crescita del tumore, per cui potrebbero diventare in futuro bersaglio o strumento di nuove terapie.

Ultimo aggiornamento: 8 ottobre 2014

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Le cellule staminali sono diverse dalle altre essenzialmente per due proprietà: da un lato sono in grado di replicarsi infinitamente o quasi, mentre le cellule di tutti i tessuti, dopo un certo numero di divisioni, si esauriscono; dall'altro hanno la capacità di assumere le caratteristiche di altre cellule dell'organismo deputate a funzioni specifiche, attraverso il processo detto di "differenziamento".

Per queste peculiarità le cellule staminali sono state candidate da anni a diventare i "pezzi di ricambio" ideali per riparare gli organi danneggiati dall'una o dall'altra malattia. Tranne poche eccezioni, la maggior parte degli studi a questo riguardo sono però ancora in fase del tutto sperimentale, e occorre guardarsi dalle offerte di cure miracolose veicolate per lo più da siti web e spesso praticate in Paesi asiatici o in via di sviluppo. Negli ultimi anni in Italia il gruppo coordinato da Michele De Luca all'Università di Modena e Reggio Emilia ha però ottenuto risultati all'avanguardia nel mondo per la riparazione della cute e delle cornee danneggiate per le quali non è applicabile il trapianto. È invece già una realtà da diversi anni l'uso del trapianto di cellule staminali per curare linfomi, leucemie o altri tumori.

Le prospettive di ricerca sul ruolo delle cellule staminali nel cancro sono ampie. In molti tipi di tumore è stato dimostrato che il loro numero determina l'aggressività della malattia: con questa informazione si potranno quindi indirizzare meglio la diagnosi e la terapia. Altri ricercatori le utilizzano per riprodurre in laboratorio il tumore e sperimentare l'efficacia delle diverse cure. Altri ancora sperano di modificarle geneticamente per distruggere il tumore dall'interno. Inoltre sembra ormai chiaro che siano le staminali a dare origine, spesso a distanza di anni, alle recidive che possono colpire un paziente in cui il cancro, in un primo momento, sembrava del tutto estirpato.

Questo fenomeno sembra comune a quasi tutti i tumori. I ricercatori stanno quindi studiando i meccanismi cellulari che distinguono le staminali del cancro da quelle che sostengono il normale ricambio di tessuti dell'organismo per colpirle in maniera mirata. In questo modo si potrebbe in futuro, almeno in teoria, curare tutti i tipi di tumori, indipendentemente dalle loro caratteristiche specifiche. Sulla base di questo principio alcune categorie di farmaci sono già in fase di sperimentazione.

Altre linee di ricerca stanno cercando di rendere le staminali del cancro più suscettibili alle terapie, alle quali di solito esse resistono. Altri studiosi pensano di sfruttare le staminali come testimoni della lunga storia naturale del cancro, che spesso dura anni o decenni prima che la malattia si manifesti: in questo modo intendono ricavare indizi sul ruolo degli stili di vita nella genesi della malattia e trovare il modo di arrivare a una diagnosi più precoce.

Staminali diverse da diverse fonti

Nell'embrione le cellule staminali embrionali, dette totipotenti nelle primissime fasi di sviluppo, in cui danno origine anche alla placenta e agli altri annessi, e multipotenti nelle fasi successive, permettono all'organismo di crescere e formare tutti i diversi organi e tessuti.

Cellule con caratteristiche simili sono state trovate anche negli individui dopo la nascita: di solito sono chiamate cellule staminali adulte, sebbene si trovino anche nei neonati e nei bambini e per questo sarebbe preferibile definirle somatiche, anziché adulte. Queste cellule spesso non hanno le complete potenzialità delle staminali embrionali, capaci di produrre tutti i possibili tessuti dell'organismo, ma sono già indirizzate in una determinata direzione, per esempio a produrre le diverse cellule del sangue.

Inizialmente si pensava che le cellule staminali somatiche si trovassero solo laddove servisse un continuo ricambio di cellule, come nel midollo osseo per la produzione del sangue o a livello della mucosa intestinale, ma i ricercatori ne stanno trovando praticamente in ogni parte dell'organismo: mentre quelle che rimpiazzano le cellule del sangue o dell'intestino sono in continua attività, quelle localizzate a livello del cuore o dei polmoni sono in uno stato quiescente da cui si risvegliano solo in particolari condizioni.

Da pochi anni è possibile produrre anche in laboratorio cellule staminali dette iPS (induced pluripotent stem cells, staminali pluripotenti indotte) a partire da cellule provenienti dalla pelle o da altre parti dell'organismo, facendo così "tornare indietro" la cellula dal suo processo di differenziamento. La scoperta scavalca in certa misura le questioni etiche legate all'uso delle staminali embrionali, evita il rischio di rigetto e offre, almeno in teoria, una notevole disponibilità di cellule staminali provenienti dal medesimo paziente che si deve curare. Prima di passare a un'applicazione pratica in medicina, tuttavia, anche di questo metodo occorrerà accertare sicurezza ed efficacia, soprattutto perché queste cellule condividono con le staminali embrionali non solo la versatilità, ma anche la grande capacità di proliferazione che favorisce la tendenza a formare tumori.

Banche di staminali, per sé o per tutti

Un'altra ricca fonte di cellule staminali è il sangue del cordone ombelicale: per questo si invitano le donne, al momento del parto, a metterlo a disposizione delle banche a cui i medici fanno riferimento quando, come spesso accade, non esistono in famiglia donatori compatibili con il paziente cui occorre un trapianto.

La conservazione per uso personale di queste cellule, nel caso in cui in futuro il bambino sviluppasse una di queste malattie, non è invece autorizzata in Italia. Chi lo desidera può ricorrere a banche estere, ma molti esperti hanno dubbi sull'utilità di questa procedura, non solo per il fatto che la probabilità di averne bisogno in futuro è molto remota, ma soprattutto perché non esistono prove che il materiale, conservato per tanti anni, non si possa alterare.

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Staminali già utilizzate nella cura dei tumori

L'ematologia è il campo in cui il trapianto di cellule staminali è già largamente utilizzato, per la cura di alcune forme di leucemie e linfomi, ma anche di altre gravi malattie del sangue congenite o acquisite o per consentire trattamenti molto aggressivi che, insieme alle cellule tumorali, distruggono anche le cellule del sangue. In questo caso le staminali che dovranno ristabilire le popolazioni cellulari vengono prelevate prima del trattamento intensivo, e poi reinfuse nel paziente. Si parla in questo caso di autotrapianto.

All'autotrapianto si può talvolta ricorrere anche per curare leucemie o altri tumori del sangue, sottoponendo il paziente a massicce dosi di chemio e radioterapia tali da distruggere tutte le cellule da cui originano le cellule del sangue, in modo da eliminare anche quelle malate. Per ripristinare le popolazioni di cellule sane al paziente vengono infuse le sue stesse staminali, che in precedenza sono state raccolte, filtrate e adeguatamente conservate (trapianto autologo o autotrapianto) o quelle di un donatore (trapianto eterologo o allogenico).

Le cellule staminali da trapiantare possono essere prelevate dal midollo osseo pungendo in anestesia le ossa del bacino oppure possono essere ricavate dal sangue periferico: in questo caso occorre aumentarne il numero somministrando al donatore, nei giorni precedenti il prelievo, un farmaco che promuove la crescita di staminali nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue circolante.

Staminali non solo del sangue

Un altro settore in cui si è già passati dalla teoria alla pratica è quello che prevede l'uso di cellule staminali di tipo epiteliale per la rigenerazione della cornea in pazienti in cui è stata gravemente danneggiata, per lo più in seguito a gravi ustioni chimiche, e che così possono tornare a vedere. Altre applicazioni riguardano la pelle ustionata o colpita da gravi malattie genetiche.

Le cellule staminali embrionali, quelle adulte e quelle riprogrammate in laboratorio (iPS) sono oggetto di studio in tutto il mondo come potenziale fonte di rigenerazione di tutti i tessuti danneggiati da malattie, come l'infarto o l'Alzheimer, o da incidenti, per esempio per ristabilire le connessioni nervose in pazienti paraplegici. Tutte queste possibili applicazioni sono però ancora solo sperimentali.

Nel midollo osseo, accanto alle cellule staminali emopoietiche, esiste anche un'altra popolazione di cellule dette "stromali" o "mesenchimali". La possibilità di applicare alla cura di varie malattie la loro capacità di modulare i processi infiammatori in laboratorio è ancora da accertare, mentre non esiste alcuna prova che possano trasformarsi in cellule nervose come è stato sostenuto da qualcuno.

Cellule staminali del cancro

Un gruppo di ricercatori finanziati da AIRC ha scoperto negli anni scorsi che l'aggressività del tumore al seno può dipendere dal numero di cellule staminali in esso contenuto. Gli studiosi hanno trovato un metodo per isolarle dalle altre e stanno mettendo a punto dei kit che renderanno la procedura più semplice, così da essere alla portata di tutti i laboratori. Nel giro di pochi anni si spera così di disporre di uno strumento in più per valutare le caratteristiche della malattia, prevedere quale sarà il suo andamento e stabilire di conseguenza l'approccio terapeutico più adeguato. Il progetto, coordinato da Pier Paolo di Fiore dell'IFOM di Milano, fa parte del Programma di oncologia clinica molecolare finanziato con i fondi derivati dal 5 per mille devoluto ad AIRC dai contribuenti.

Le staminali del cancro, tuttavia, non sono importanti solo per il tumore al seno. Diversi studi suggeriscono che lo stesso fenomeno si verifichi anche quando il cancro si sviluppa in altre parti dell'organismo.

Inoltre, la maggior parte dei ricercatori è ormai convinta che dipenda dalle staminali anche la ricomparsa della malattia a distanza di molto tempo dalla sua remissione. Le cure, infatti, possono distruggere tutte le cellule tumorali, ma difficilmente riescono a eliminare le staminali del cancro, che possono restare sopite per molto tempo, prima di riprendere il loro processo di replicazione.

Per evitare che ciò accada gli studiosi stanno concentrando la loro attenzione sulle staminali del cancro. Hanno così scoperto che la replicazione asimmetrica che le caratterizza dipende anche dall'inattività di p53, una molecola capace di sopprimere la crescita tumorale. Se p53 resta inattiva la proliferazione delle cellule cancerogene è incontrollata: con una nuova categoria di farmaci attualmente in fase di studio, le natline, si potrà bloccare la degradazione di questa preziosa molecola, riprendendo così il controllo del tumore, qualunque sia la sua sede di origine.

Un altro approccio si è concentrato sull'immortalità delle staminali. Da che cosa dipende? Essenzialmente dalla straordinaria capacità di queste cellule di riparare il loro DNA che si va via via danneggiando col passare del tempo. Per questo gli inibitori dei meccanismi della riparazione, i cosiddetti PARP inhibitors, già in fase avanzata di sperimentazione contro alcuni tipi di tumore al seno, potrebbero rivelarsi efficaci anche contro altre forme di cancro.

Sfruttare le staminali del cancro per combattere la malattia

In futuro le cellule staminali del cancro potranno essere usate per creare modelli del tumore in laboratorio e sfruttate come cavalli di Troia per colpire il tumore dall'interno.

Uno dei progetti sostenuti dalle donazioni del 5 per mille ad AIRC, coordinato da Ruggero De Maria, direttore scientifico dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, sfrutta la possibilità di riprodurre in laboratorio i tumori del polmone e del colon dei singoli pazienti per sperimentare in modo più sicuro e mirato i nuovi farmaci e identificare così in anticipo i pazienti che beneficeranno di più di ciascuna terapia.

Anche un altro di questi progetti punta sulle staminali, questa volta come arma diretta contro il tumore: dopo averle modificate geneticamente, i ricercatori guidati da Alessandro Gianni dell'Istituto tumori di Milano intendono utilizzarle come un cavallo di Troia capace di penetrare nel tumore e distruggerlo.

  • Roberta Villa