Ultimo aggiornamento: 2 luglio 2017
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La cistifellea, o colecisti, è un organo posto appena al di sotto del fegato che normalmente ha una lunghezza di circa 8-9 cm e una larghezza massima di 2-3 cm. Il suo compito principale consiste nell’immagazzinare e concentrare la bile prodotta dal fegato e necessaria per la digestione e l’assorbimento dei grassi.
Durante la digestione degli alimenti, la contrazione della cistifellea provoca il passaggio della bile concentrata nell'intestino attraverso la parte finale del dotto biliare, un sottile condotto che in totale misura poco più di 10 cm. I dotti biliari si sviluppano all'interno del fegato e confluiscono in rami sempre maggiori fino a dare origine a un dotto destro e a uno sinistro che si congiungono in un condotto comune che emerge dal fegato, chiamato dotto epatico. La cistifellea è connessa a questo condotto principale tramite un altro piccolo canale chiamato dotto cistico. L'insieme di queste strutture prende il nome di dotto biliare comune o coledoco e convoglia la bile fino al duodeno, il primo tratto di intestino dopo lo stomaco.
Il tumore della cistifellea ha origine dalle ghiandole della mucosa, lo strato più interno della parete, di cui provoca un ispessimento; progredendo la massa tumorale si sviluppa nella cavità interna dell'organo, ma può anche espandersi verso l’esterno infiltrando e superando la parete fino a invadere gli organi circostanti (fegato, duodeno, coledoco).
Il tumore delle vie biliari può svilupparsi a partire da qualsiasi tratto interno o esterno al fegato (tumore del dotto biliare intraepatico, del dotto biliare distale o extraepatico e della confluenza o tumore di Klatskin). Questi tumori fanno parte della famiglia dei colangiocarcinomi.
L'incidenza annuale complessiva dei due tipi di tumore si attesta sui 3-5 casi ogni 100.000 abitanti. Sono più frequenti nelle femmine (in rapporto 2:1.5 con i maschi), con un'età media all'esordio di 65 anni.
I tumori delle vie biliari rappresentano circa l’1 per cento del totale dei tumori diagnosticati negli uomini e l'1,5 per cento di quelli nelle donne.
In Italia vengono in media diagnosticati ogni anno circa 3 casi di tumore della cistifellea ogni 100.000 uomini e circa 5 ogni 100.000 donne. Il Registro Tumori (AIRTUM) ha stimato per il 2017 2.100 casi di tumore a colecisti e vie biliari negli uomini e 2.400 nelle donne.
Il fattore di rischio più comune per il tumore della cistifellea è la calcolosi inveterata, cioè la presenza da lungo tempo di calcoli di calcio e colesterolo o di bilirubina. Al momento della diagnosi, nella maggior parte dei pazienti (75-90 per cento) viene infatti riscontrata la presenza di calcoli biliari e/o di processi infiammatori cronici. Tuttavia la presenza di calcoli o infiammazione non dà necessariamente origine al tumore.
Anche altre particolari condizioni possono aumentare il rischio di insorgenza di tumore della cistifellea e delle vie biliari come:
Non esistono strategie di prevenzione specifiche per i tumori della cistifellea e delle vie biliari. Tuttavia limitare i fattori di rischio evitabili, come il sovrappeso, il fumo, l’alcol e l'esposizione a sostanze chimiche, può contribuire a ridurre la probabilità di sviluppare questi tipi di tumori.
La vaccinazione contro il virus dell'epatite B può ridurre il rischio di insorgenza di colangiocarcinoma.
L'80 per cento dei tumori della cistifellea è rappresentato da adenocarcinomi (neoplasie che originano da tessuti formati da ghiandole). L'adenocarcinoma papillare costituisce il 6 per cento di tutti i tumori della cistifellea e ha, in genere, una prognosi più favorevole della variante non papillare (75 per cento dei tumori). Possono essere presenti, anche se più raramente, altre forme come l'adenocarcinoma mucinoso, il carcinoma squamoso, il carcinoma adenosquamoso e il carcinoma a piccole cellule.
Circa la metà di tutti i colangiocarcinomi è rappresentata da tumori del dotto biliare intraepatico (colangiocarcinoma intraepatico). Quest’ultimo si sviluppa all'interno del fegato e, per questo motivo e per le sue caratteristiche radiologiche, a volte deve essere differenziato dalle metastasi, ovvero dalle localizzazioni secondarie di neoplasie primitive di altri distretti corporei (più spesso da colon, retto, pancreas e stomaco). La storia clinica, l'assenza di tumori in altre sedi e, in ultima analisi, l'esame delle cellule al microscopio, se è disponibile una biopsia, conducono solitamente a chiarire l'eventuale dubbio. Il tumore del dotto biliare distale, che colpisce il tratto del dotto biliare più vicino al duodeno, è secondo per frequenza tra i colangiocarcinomi, seguito dai tumori della confluenza (o tumori di Klatskin, dal nome del medico che per primo li descrisse) che hanno origine nel tratto in cui i dotti biliari di destra e sinistra escono dal fegato unendosi.
I sintomi del tumore della cistifellea si manifestano in genere solo negli stadi avanzati della malattia e sono spesso simili a quelli di altre patologie.
Il sintomo più comune del tumore delle vie biliari extraepatiche e della confluenza è l'ittero (colorito giallo della pelle e degli occhi associato o meno a prurito cutaneo) causato dall’ostruzione meccanica da parte della massa tumorale del deflusso della bile nell’intestino.
I sintomi più frequenti sono genericamente aspecifici:
Sono, invece, sintomi meno comuni:
Per quanto riguarda il tumore intraepatico i sintomi principali sono perdita di peso e affaticamento, mentre l'ittero può comparire in un secondo momento, per compressione, infiltrazione o peggioramento della funzione del fegato. Se il tumore si è diffuso infiltrando gli organi vicini, la sintomatologia può essere riferita all'organo o apparato coinvolto.
Il primo passo per una corretta diagnosi è l'attenta valutazione da parte del medico di eventuali sintomi e fattori di rischio. Oltre ad accertare la presenza di sintomi clinici (ittero, gonfiore, presenza di masse o organi ingrossati nella cavità addominale), è importante anche verificare la presenza nella famiglia del paziente di altri casi di tumore della cistifellea o delle vie biliari, o se sono presenti patologie collaterali che possono aumentare il rischio. Nel caso in cui ci sia il sospetto di un tumore della cistifellea, si valuteranno nel sangue i livelli degli enzimi epatici (transaminasi), della bilirubina, delle gamma-GT e della fosfatasi alcalina. Elevati valori di questi enzimi indicano un problema a livello del fegato e potrebbero essere legati a patologie che interessano la cistifellea o le vie biliari. Dall'esame del sangue verranno anche misurati i livelli di CEA e CA19-9, due marcatori tumorali che possono risultare elevati in molti tumori addominali. Il CA19-9 in particolare si può innalzare in concomitanza di tumori delle vie biliari e della cistifellea: occorre tuttavia precisare che un suo incremento deve destare il sospetto clinico, ma non è elemento definitivo di diagnosi, poiché si presenta anche in caso di infiammazione, specie se associata a ostacolato deflusso della bile, e anche in presenza di forme tumorali non a carico del distretto biliare.
I tumori delle vie biliari non sono sempre facilmente identificabili; ciò è soprattutto vero per quelli che riguardano il tratto extraepatico o della confluenza (tumore di Klatskin), che risultano spesso mal delimitabili o addirittura del tutto indistinguibili da processi infiammatori, oppure danno solo segni indiretti della loro presenza come la dilatazione dei dotti a monte del tratto interessato. Vi sono oggi numerosi strumenti diagnostici, più o meno invasivi, in grado di aiutare il medico a effettuare la diagnosi e a stabilire la terapia migliore (chirurgica, farmacologica o radioterapica).
Tra gli esami più utilizzati vi sono:
Lo stadio di un tumore indica essenzialmente quanto la malattia è estesa. Per il tumore della cistifellea e per quello delle vie biliari vengono individuati 4 stadi sulla base dei criteri TNM che tengono conto della grandezza e infiltrazione del tumore (T), dell'eventuale coinvolgimento dei linfonodi (N) e della presenza di metastasi in altri organi (M).
Lo stadio più basso (stadio 0) rappresenta una malattia in fase iniziale, nella quale le cellule cancerose sono presenti solo sulla parete interna della cistifellea o del dotto biliare. Lo stadio 1, in genere, indica un tumore ancora operabile, ma diffuso anche agli altri strati della parete dell'organo e non limitato al solo strato interno. In fase avanzata il tumore della cistifellea può invadere il fegato, i linfonodi e altri organi, anche a distanza. Il colangiocarcinoma intra- ed extraepatico può diffondersi ad altri organi quali fegato, cistifellea, duodeno, colon e stomaco e coinvolgere i vasi sanguigni di accesso al fegato, cioè la vena porta e l’arteria epatica.
Determinare lo stadio del tumore è importante per decidere la terapia più indicata per il paziente in quel momento (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). Come per molti altri tipi di tumore, anche per questo è solitamente valida l’affermazione che a uno stadio di tumore più basso al momento della diagnosi corrisponde una migliore prognosi, ovvero maggiori prospettive di sopravvivenza. Il tumore si può anche ripresentare a distanza di tempo da un trattamento risultato efficace: si parla in questo caso di recidiva tumorale, che può presentarsi ancora nell'organo di origine oppure nella regione anatomica dell’intervento chirurgico se il paziente è stato operato, oppure in altri organi come malattia metastatica.
La scelta della terapia più adatta dipende da diversi fattori tra i quali lo stadio, il tipo di tumore e le condizioni generali del paziente.
La chirurgia rappresenta il trattamento più efficace per la cura del tumore della cistifellea e l’efficacia è maggiore nei casi in cui il tumore sia ancora confinato all’organo di origine. Il termine colecistectomia indica la rimozione chirurgica della cistifellea. In presenza di un tumore della cistifellea spesso non ci si può limitare a rimuovere la colecisti. In base allo stadio della malattia, occorre spesso asportare anche la porzione del fegato che è a contatto con la cistifellea, i linfonodi e una parte delle vie biliari. Capita che un tumore della colecisti, quando è molto precoce, venga riconosciuto incidentalmente, esaminando la cistifellea che è stata rimossa per la presenza di calcoli: in tal caso, sempre in base allo stadio della malattia, si dovrà procedere a un nuovo intervento per togliere la porzione di fegato e i linfonodi.
In caso di colangiocarcinoma intraepatico viene in genere rimosso il tumore stesso con una porzione variabile di tessuto epatico sano (margine di resezione), in base alla posizione del tumore e ai suoi rapporti con i vasi sanguigni intraepatici. Il fegato è in grado di tollerare la rimozione di una sua porzione fino al 70 per cento del suo volume totale, purché l'organo sia in buone condizioni (senza steatosi o cirrosi e in assenza di trattamenti chemioterapici di lunga durata). Tali valori di volume vengono calcolati durante la pianificazione preoperatoria attraverso software dedicati, sulla base di immagini TC o RMN. Tanto peggiore è lo stato del fegato, tanto minore sarà la percentuale di tessuto asportabile. Il rischio legato a un eccesso di rimozione di tessuto epatico è l'insorgenza di una insufficienza epatica postoperatoria. Se si prevede di dover rimuovere una grande quantità di tessuto, si può preparare il fegato attraverso l'embolizzazione (occlusione) radiologica (percutanea) o per via chirurgica del ramo di vena porta che irrora la parte da togliere: questa procedura indurrà, nell'arco di qualche settimana, la riduzione della porzione embolizzata, ma soprattutto l'aumento di volume di quella ancora ben vascolarizzata.
Nel trattamento chirurgico del tumore della confluenza (Klatskin) occorre rimuovere una rilevante porzione di fegato, oltre a dotto biliare e cistifellea. I restanti dotti biliari devono poi essere ricollegati all'intestino. Questo tipo di intervento, per la sua complessità e aggressività, necessita di una preparazione lunga e meticolosa e di una precisa conoscenza dell’anatomia epatica e biliare. Anche per questi interventi la quota di fegato residuo è fondamentale e può essere aumentata mediante l’embolizzazione portale. Data la complessità delle procedure da attuare, il trattamento del tumore di Klatskin può essere gravato da molte complicanze e talvolta non può essere effettuato per l’assenza delle condizioni necessarie.
Il tumore del dotto biliare distale si sviluppa in prossimità di pancreas e duodeno, che devono anch’essi in parte essere asportati durante l'intervento che si chiama duodenocefalopancreasectomia (DCP). Tale intervento prevede poi la ricostruzione di una serie di complesse e delicate giunzioni (anastomosi) tra i visceri. Infine, alcune recenti evidenze indicano che il trapianto, cioè la sostituzione completa del fegato malato con uno sano prelevato da donatore (più spesso cadavere a cuore battente), in associazione alla radioterapia possa rappresentare una cura efficace in alcuni pazienti altamente selezionati.
Sia nel caso del tumore della cistifellea sia di quelli della via biliare intra- ed extraepatica, la chemioterapia non si è finora mostrata particolarmente efficace, e viene in genere somministrata come trattamento adiuvante dopo l'asportazione chirurgica del tumore, al fine di bonificare il corpo da malattia microscopica e prevenire così recidive, o in caso di recidiva dopo l’intervento chirurgico.
Le terapie palliative infine sono trattamenti mirati a controllare i sintomi negli stadi più avanzati della malattia o in caso di tumore non operabile. Nel caso di tumore delle vie biliari, attraverso la chirurgia palliativa si possono creare bypass per oltrepassare il tratto di dotto biliare ostruito dal tumore e ripristinare così il passaggio della bile. Attualmente, un analogo risultato può essere ottenuto inserendo direttamente nei dotti, per mezzo di un endoscopio (oppure direttamente per puntura percutanea) tubi di plastica o metallo espandibile che permettono di mantenere il passaggio della bile nei dotti stessi.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe