Ultimo aggiornamento: 17 dicembre 2015
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La parola chemioterapia letteralmente indica qualunque trattamento terapeutico a base di sostanze chimiche. Più specificamente si riferisce ai farmaci capaci di uccidere gli agenti responsabili delle malattie e comprende quindi anche gli antivirali e gli antibiotici che eliminano i batteri (chemioterapia antimicrobica). Nel linguaggio comune, però, il termine è utilizzato soprattutto in riferimento alle più comuni cure farmacologiche rivolte contro il cancro (chemioterapia antineoplastica).
Basandosi sul principio che le cellule tumorali si riproducono molto più rapidamente di quelle normali, le sostanze utilizzate per questi trattamenti interferiscono con i meccanismi legati alla replicazione delle cellule, uccidendole durante questo processo (azione citotossica). L'effetto della chemioterapia, quindi, si fa sentire soprattutto sui tumori che crescono velocemente, ma anche su alcuni tipi di cellule sane soggette a rapida replicazione (come le cellule dei bulbi piliferi, del sangue e quelle che rivestono le mucose dell'apparato digerente). Si spiegano così i più comuni effetti collaterali di questi trattamenti (perdita di capelli, anemia e calo delle difese immunitarie, vomito, diarrea e infiammazione o infezione della bocca).
Queste conseguenze, a volte, preoccupano più della malattia stessa. È importante tuttavia sottolineare che, a fronte di questi disturbi, talvolta rilevanti, la chemioterapia ha il merito di aver ribaltato la prognosi di chi è colpito da alcune forme di cancro, per esempio le leucemie infantili, il linfoma di Hodgkin o il tumore del testicolo, che oggi in un'altissima percentuale di casi giungono a completa guarigione.
La chemioterapia consiste nella somministrazione di una o più sostanze capaci di uccidere le cellule tumorali durante il loro processo di replicazione.
L'associazione di sostanze diverse consente di aggredire le cellule tumorali colpendo contemporaneamente diversi meccanismi essenziali per la loro replicazione. Si ostacola così la loro capacità di evolvere verso forme resistenti alle cure.
Per le diverse malattie esistono quindi diversi schemi di chemioterapia chiamati con acronimi formati dalle iniziali dei medicinali utilizzati: per esempio CMF (ciclofosfamide, metotrexate e fluorouracile) per il tumore al seno o CVP (ciclofosfamide, vincristina e prednisolone) per alcuni linfomi. Esistono quasi un centinaio di sostanze che possono essere variamente combinate per combattere meglio le diverse forme di tumore, e nuove molecole sono continuamente scoperte, sintetizzate o estratte e messe a punto nei laboratori di tutto il mondo.
Per ogni tumore e per ogni malato, sulla base dei dati raccolti in decenni di ricerche, i medici scelgono lo schema più adatto per ottenere il miglior risultato possibile con il minor carico di effetti collaterali.
A questo stesso scopo la chemioterapia viene spesso somministrata in cicli e non in maniera continua. Non tutte le cellule infatti sono contemporaneamente in fase di replicazione. Anche in un tumore a rapida crescita ve ne sono sempre alcune "a riposo" o, come si dice, "in fase quiescente". Queste cellule sfuggono all'azione dei farmaci che hanno la caratteristica di uccidere le cellule mentre si dividono. Per questo la ripetizione del trattamento in cicli successivi elimina le cellule tumorali via via che entrano nella fase di replicazione.
Per ciclo di trattamento si intende il periodo in cui si riceve il trattamento e la fase di intervallo prima di quello successivo. Un ciclo di 3 settimane, per esempio, può prevedere la somministrazione dei farmaci solo al primo giorno, e 20 giorni senza trattamenti.
L'intervallo tra un ciclo e l'altro consente di attendere che una nuova popolazione di cellule tumorali entri in fase di replicazione e, nel contempo, permette all'organismo di riprendersi dagli effetti collaterali della cura, soprattutto quelli che colpiscono le difese immunitarie.
In genere la chemioterapia si prolunga per un periodo che va da tre a sei mesi, nel corso del quale si effettuano in genere da tre-quattro a sei-otto cicli di trattamento.
Il programma tuttavia può cambiare in relazione al tipo di malattia, al singolo paziente e alla reazione individuale alle cure.
Gli esami del sangue, da cui può emergere un livello troppo basso di globuli bianchi o di piastrine, oppure il sospetto che il fegato o i reni stiano soffrendo delle cure, possono per esempio indurre i medici ad allungare gli intervalli tra un trattamento e l'altro o ad abbassare le dosi dei farmaci.
Altre volte gli accertamenti eseguiti nel corso del trattamento mostrano una scarsa risposta della massa tumorale che non si riduce di volume nonostante la terapia. Questo può spingere i medici a utilizzare un'altra combinazione di farmaci che possa rivelarsi più efficace.
Infine, nella programmazione dei cicli di trattamento, è talvolta possibile tenere conto delle esigenze personali del paziente: parlandone con il medico con il dovuto anticipo si può cercare di impostare i cicli in modo che non condizionino la partecipazione a eventi importanti, familiari o di lavoro.
I medici valutano l'opportunità di sottoporre un paziente a chemioterapia in base a diversi fattori:
Con questi stessi criteri, in genere sulla base di protocolli predefiniti, i medici stabiliscono il tipo di chemioterapia da somministrare, il numero di cicli necessari e se la cura sia da associare a un intervento chirurgico, a cicli di radioterapia, a terapie ormonali o possa essere integrata con le nuove terapie mirate o varie combinazioni di questi trattamenti.
Quando la chemioterapia è somministrata contemporaneamente alla radioterapia si parla di chemio radioterapia.
Una diagnosi di cancro non implica necessariamente la chemioterapia, che è un trattamento sistemico, cioè diffuso a tutto il corpo. Ciò comporta effetti collaterali da soppesare in relazione ai benefici attesi.
Pertanto i medici possono decidere di non sottoporre il paziente a questo tipo di cura:
La scelta di sottoporre un paziente a chemioterapia può mirare nei diversi casi a obiettivi differenti:
Prima di sottoporre un paziente a chemioterapia i medici gli prescrivono una serie di esami del sangue e altri accertamenti diagnostici. Queste indagini servono a stimare il numero di globuli rossi, bianchi e piastrine perché il trattamento li potrebbe ridurre e verificare la funzionalità di altri organi (polmoni, cuore, fegato, rene) che talvolta possono essere danneggiati dai diversi tipi di chemioterapia. La scelta degli esami da eseguire in ogni singolo caso, quindi, dipende anche dalle sostanze che dovranno essere somministrate.
Viene inoltre eseguita una visita accurata e si misurano peso e altezza, indispensabili per calcolare l'esatta dose di farmaci necessari.
Prima di ogni seduta di chemioterapia si ripete l'esame del sangue per la conta dei globuli bianchi, dei globuli rossi e delle piastrine e per verificare la funzione di fegato e reni. Se alcuni di questi risultati sono alterati, i medici possono decidere, per la sicurezza del paziente, di rimandare il trattamento (di solito di una settimana, ricontrollando poi ancora una volta gli esami del sangue).
I farmaci che compongono lo schema di trattamento possono essere somministrati in vario modo.
Alcuni farmaci chemioterapici, da soli o in associazione a terapie endovenose, possono essere presi per bocca sotto forma di capsule o compresse. In questo caso spesso sono consegnati al paziente che li può assumere a casa propria. È importante avere alcune accortezze:
Tramite:
Tutte queste modalità di somministrazione per via endovenosa prevedono un accesso venoso, cioè una via d'ingresso al circolo sanguigno che sia mantenuta aperta per tutto il tempo necessario alle cure. Per l'esigenza di iniettare ripetutamente in vena sostanze irritanti che facilmente possono provocare flebiti, sono stati messi a punto vari dispositivi per raggiungere il circolo sanguigno senza dover cercare ogni volta una vena del braccio, come si fa per iniezioni intravenose occasionali.
L'accesso può avvenire tramite
È un tubicino molto sottile, inserito tramite un ago, che mantiene aperta la vena attraverso la quale possono essere iniettati farmaci e prelevato sangue. Se necessario può essere tenuta per alcuni giorni.
Sono dispositivi che, tramite tubicini di materiale biocompatibile (silicone o poliuretano) detti cateteri, raggiungono le grosse vene più vicine al cuore. In questo modo permettono l'infusione intermittente o continua di farmaci e terapie nutrizionali, garantendo nel contempo l'accesso permanente al sistema venoso per molto tempo, anche per mesi.
Possono essere:
In casi particolari e complessivamente poco frequenti, i medicinali per la chemioterapia possono anche essere iniettati per altre vie.
A livello della coscia o dei glutei. Determina un rilascio più lento dei farmaci rispetto alla via endovenosa ma è utilizzata molto di rado.
A livello dell'addome, della coscia o del braccio, al momento solo per alcuni farmaci utilizzati nel trattamento di neoplasie ematologiche e per un farmaco (trastuzumab) utilizzato nel trattamento dei tumori mammari e gastrici.
Attraverso una cannula inserita nell'arteria principale che irrora il tumore. Il metodo, usato soprattutto per i tumori del fegato attraverso l'arteria epatica, consente di concentrare maggiori dosi di medicinale dove serve, risparmiando il resto dell'organismo. È una invasiva, consigliata solo raramente e in pochi centri.
Cioè nel fluido cerebrospinale attraverso la colonna vertebrale, quando, attraverso l'esame del liquido effettuato con una puntura lombare, si riscontra la presenza di cellule tumorali a questo livello. È utilizzata solo in alcuni casi di leucemia e tumori cerebrali.
Cioè in una cavità naturale dell'organismo (per esempio all'interno della vescica, nel torace o nell'addome):
A seconda del tipo di malattia, dei farmaci utilizzati e delle diverse condizioni cliniche la somministrazione della chemioterapia può avvenire in diversi luoghi.
Se la terapia deve essere presa per bocca, la si può fare stando a casa. Qualche volta i medici possono ritenere opportuno effettuare la prima somministrazione in ospedale per verificare che non ci siano reazioni indesiderate, altrimenti ci si reca in ambulatorio solo per regolari controlli ed esami del sangue. La cura può avvenire a domicilio anche quando avviene tramite un'infusione continua di farmaci mediante una pompa per la chemioterapia collegata alla linea centrale o alla PICC. Ha le dimensioni di una bottiglietta d'acqua e può essere tenuta sempre con sé, in una apposita borsa o attaccata a una cintura che verrà consegnata in ospedale. Non richiede batteria ma periodicamente deve essere sostituita.
A volte può essere necessaria una permanenza in ospedale di una o più notti, soprattutto nei casi in cui:
Sono i cosiddetti day-hospital, dove ci si reca nei giorni prestabiliti. Lì si resta per il tempo necessario a eseguire gli esami preliminari al trattamento e a ricevere l'infusione, per poi rientrare a casa in giornata. È questa la modalità più comune.
Le sostanze usate per la chemioterapia possono essere irritanti per la pelle e pericolose al di fuori del loro uso terapeutico. È per questo che il personale indossa guanti, mascherina, grembiuli di plastica e occhiali protettivi. Per la stessa ragione il materiale che è venuto a contatto con i farmaci deve essere smaltito in maniera differenziata e con particolari cautele.
Gli effetti collaterali della chemioterapia sono spesso la maggior causa di preoccupazione per chi si ammala di cancro. Tuttavia questi sono molto variabili da trattamento a trattamento e da individuo a individuo. Rispetto ad alcuni anni fa, inoltre, il loro impatto sul benessere del paziente e la sua qualità della vita è stato molto ridotto grazie a una maggiore attenzione da parte dei medici a questi aspetti:
Prima di iniziare il trattamento si può chiedere al proprio medico quali sostanze verranno somministrate e quali effetti collaterali ci si può attendere, ricordando comunque che:
È indubbio tuttavia che queste cure possono provocare diversi tipi di effetti collaterali.
Il senso di affaticamento che si può provare con il cancro e durante le cure è particolarmente intenso e prolungato e ha un nome specifico che, dall'inglese, è usato anche in Italia, fatigue. Ci si sente deboli e senza forze e questa sensazione può peggiorare con l'avanzare delle cure. Questo fenomeno può dipendere da vari fattori:
Si può avvertire la stanchezza in maniera più marcata nei giorni in cui ci si sottopone alla chemioterapia e in quelli immediatamente successivi. È bene quindi chiedere aiuto a parenti e amici, per esempio per le incombenze domestiche e la cura dei figli, soprattutto in queste fasi e prevedere di potersi assentare dal lavoro, ridurre gli orari oppure portarlo avanti, per quanto possibile, da casa.
In generale, comunque, bisogna cercare di organizzarsi per assecondare l'organismo che chiede riposo, senza richiedere a se stessi sforzi eccessivi.
Le cellule che rivestono le mucose dell'apparato digerente, poiché sono soggette a un continuo ricambio, sono tra quelle che risentono di più dell'azione dei farmaci usati per la chemioterapia. È comune quindi che durante il trattamento si verifichino alcuni di questi disturbi.
Non tutti i medicinali usati in chemioterapia provocano nausea e vomito e comunque, anche per quelli che di solito provocano questi disturbi, è impossibile prevedere se lo faranno, e in che entità, nel singolo individuo. Quando si verificano, i disturbi compaiono a partire da alcuni minuti fino a diverse ore dopo la somministrazione del farmaco. Possono durare per ore, più raramente per qualche giorno. Se la sostanza ha determinato questi sintomi la prima volta, è probabile che lo farà anche nelle somministrazioni successive. I medici possono controllarli con farmaci detti antiemetici, che di solito vengono dati in vena insieme alla chemioterapia e poi proseguiti per via orale o intramuscolare a casa. Vanno presi regolarmente anche se ci si sente abbastanza bene, perché questi prodotti funzionano meglio a scopo preventivo che curativo.
Se nonostante ciò, i disturbi fossero particolarmente impegnativi, è bene informare il medico, che potrà cercare altre soluzioni.
Inoltre, è bene avvisare il personale di cura se il vomito:
Questi disturbi possono comparire da cinque a dieci giorni dopo l'inizio del trattamento e in genere si risolvono gradualmente nelle tre-quattro settimane dopo che è finito. Il medico potrà consigliarvi dei risciacqui, per evitare che le ulcere si infettino, e degli analgesici per tenere a bada il dolore, in modo che non vi impedisca di mangiare e bere.
Alcuni medicinali usati in chemioterapia modificano il gusto dei cibi, che può risultare più salato, amaro o metallico. Il fenomeno regredisce alla fine del trattamento ma prima che passi sono necessarie a volte alcune settimane.
Non preoccupatevi se non riuscite a mangiare il giorno del trattamento o quello successivo, purché poi torni l'appetito tra una seduta e l'altra. È importante invece bere molto, per evitare la disidratazione, soprattutto se le cure causano diarrea. Se compare stipsi, si può cercare di rimediare anche con una dieta ricca di fibre.
Tutti questi effetti collaterali si combattono con i medicinali prescritti o somministrati direttamente dal medico insieme alla chemioterapia, ma anche con un'alimentazione adatta.
I farmaci usati in chemioterapia ostacolano il rinnovamento delle cellule del sangue che quindi possono scendere a livelli pericolosi.
Il calo dei globuli bianchi può favorire infezioni. Avvisate subito il medico in caso di:
Il calo dei globuli rossi può portare ad anemia, per la quale ci si può sentire particolarmente stanchi o può mancare il fiato.
Il calo delle piastrine può facilitare i sanguinamenti dalle mucose o la formazione di lividi (ecchimosi).
Se questi effetti si fanno particolarmente impegnativi i medici possono provvedere con appositi farmaci o con trasfusioni di sangue.
La caduta dei capelli, dei peli, di ciglia e sopracciglia è considerato un segno caratteristico della chemioterapia, e anche per questo è una delle conseguenze più temute dai pazienti: non solo perché incide in maniera significativa sulla propria immagine, ma anche perché rende evidente a chiunque il proprio stato di malattia. In realtà, non tutti i farmaci usati per la cura dei tumori provocano questo effetto indesiderato, né tutti lo fanno con la stessa intensità. Alcuni rendono solo i capelli più fini e radi, altri non agiscono a questo livello. Inoltre è bene ricordare che il fenomeno è reversibile e i capelli ricominciano a crescere dopo poche settimane dalla fine del trattamento. In genere la capigliatura ha recuperato un aspetto normale entro quattro-sei mesi dal termine delle cure, anche se è possibile che ricrescendo i capelli acquistino un colore diverso o risultino più ricci.
Nel frattempo, se non ci si sente a proprio agio, è possibile ricorrere a foulard, cappelli o parrucche, che però possono risultare fastidiose, soprattutto d'estate. In ogni caso conviene chiedere informazioni al personale infermieristico: molti centri prevedono consulenze specifiche anche su questi aspetti, compreso anche il make up adatto a mascherare gli effetti più visibili delle cure.
In alcuni casi è possibile cercare di prevenire la caduta dei capelli indossando durante le sedute una particolare cuffia ghiacciata: riducendo l'apporto di sangue al cuoio capelluto si cerca di diminuire anche la quantità di farmaco che raggiunge i bulbi piliferi. Il metodo comunque non è utilizzabile in tutti i casi, per cui conviene discuterne in anticipo con il proprio medico.
Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono rendere la pelle secca e sensibile o provocare reazioni cutanee. È bene mettere sempre una crema protettiva quando ci si espone al sole. Anche le unghie ne possono risentire, diventando secche, scheggiate o striate.
Talvolta la chemioterapia può provocare una neuropatia periferica, che si manifesta con alterazioni della sensibilità, formicolii, sensazione come di punture di aghi soprattutto alle mani e ai piedi. In genere regredisce al termine delle cure, ma solo dopo diversi mesi.
Le cure possono anche compromettere in varia misura l'udito. Anche questo fenomeno può essere transitorio ma se vi accorgete di sentire male, avvisate il medico che potrà talvolta adeguare il dosaggio dei farmaci.
Dei trattamenti contro il cancro possono talvolta risentire, in maniera transitoria o permanente, i più importanti organi dell'organismo (cuore, fegato, reni e polmoni). Sarà cura dei medici cercare fin dall'inizio le cure più adatte al singolo paziente, in relazione ad altri eventuali problemi di salute preesistenti, oppure cambiare terapia nel caso si manifestasse sofferenza a livello di queste funzioni essenziali.
Alcuni tipi di chemioterapia possono anche favorire la formazione di trombi, vale a dire vale a dire coaguli di sangue all'interno di una vena o un'arteria. Nel caso in cui una gamba si gonfiasse oppure il paziente si sentisse mancare il respiro è importante avvisare subito il proprio medico.
La stanchezza provocata dalla malattia e dalle cure e la preoccupazione per la propria salute possono togliere interesse per la vita sessuale in questo periodo. È importante tuttavia mantenere aperto il dialogo con il partner anche su questo tema delicato, ed eventualmente cercare la collaborazione di personale esperto.
Oltre agli aspetti psicologici ci possono essere anche difficoltà di tipo fisico: le mucose femminili, danneggiate dalla chemioterapia, possono rendere doloroso il rapporto. In questo caso ci si può aiutare con un gel lubrificante.
Per le coppie in età fertile è importante garantirsi una contraccezione sicura perché molti farmaci usati in chemioterapia potrebbero provocare malformazioni nel feto.
Infine, sebbene i farmaci in genere non passino nello sperma e nel liquido vaginale, l'uso del preservativo può evitare di passare al partner anche piccole quantità di sostanze farmacologicamente attive.
Una grossa preoccupazione di chi si deve sottoporre alla chemioterapia in giovane età è la possibilità che le cure compromettano la fertilità futura. È bene parlare di questo aspetto con il proprio medico prima dell'inizio delle cure perché nelle scelte terapeutiche si tenga conto anche del desiderio di avere in futuro dei figli.
Oggi, soprattutto in funzione della sempre maggiore quota di bambini e ragazzi che guariscono dal cancro, e in particolare dalle leucemie, si presta molta attenzione a questo aspetto e molti ricercatori sono impegnati a cercare soluzioni su questo fronte: gli schemi di chemioterapia sono sempre meno aggressivi, si può prevedere la raccolta e il congelamento di sperma e ovociti prima del trattamento, nuovi approcci sperimentali sono in studio anche grazie al sostegno di AIRC.
Sono innumerevoli i racconti di persone che, guarite dal cancro, si sono formate una loro famiglia.
Quando il cancro risponde al trattamento ma c'è ancora un residuo di malattia, per quanto inferiore rispetto alla situazione iniziale, si parla di una remissione parziale.
Il trattamento produce invece la remissione completa della malattia se non ci sono più tracce di tumore o leucemia rilevabili con i mezzi diagnostici a disposizione, dagli esami del sangue alle indagini per immagini. Ancora non si può parlare di guarigione, condizione a cui si giunge se la remissione totale si mantiene per diversi anni, ma questa probabilità aumenta quanto più ci si allontana nel tempo dal momento della diagnosi.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zadig