Serve davvero il vaccino contro l’HPV?

Sì, il vaccino è utile perché il virus dell'HPV è responsabile della maggior parte dei tumori della cervice uterina e anche di altri tipi di tumore. Il nuovo vaccino 9-valente previene circa il 90 per cento di questi tumori.

Ultimo aggiornamento: 25 luglio 2018

Tempo di lettura: 8 minuti

In sintesi

  • Esistono circa 200 ceppi di virus HPV, ma i due (HPV 16 e 18) contro cui è stato sviluppato il primo vaccino messo sul mercato sono responsabili del 70 per cento dei casi di cancro della cervice uterina.
  • I sierotipi ad alto rischio di HPV provocano anche altri tipi di cancro e sono globalmente responsabili del 5 per cento di tutti i tumori.
  • Diversi studi hanno valutato che le ragazze intorno ai 12 anni di età sono il gruppo in cui è più efficace offrire una vaccinazione nel contesto delle campagne di prevenzione e di salute pubblica.
  • Anche i maschi possono trarre vantaggio dalla vaccinazione, perché questa può proteggerli da alcune delle infezioni provocate da HPV e da alcuni rari tumori correlati all’infezione, come quello del pene, dell’ano e della base della lingua. Inoltre vaccinando anche la popolazione maschile si raggiungerebbe la cosiddetta “immunità di gregge”.
  • Il vaccino anti-HPV presenta un profilo di sicurezza molto elevato e sono rarissimi i casi di eventi collaterali gravi.
  • Il vaccino non è alternativo al Pap test, che deve essere effettuato nelle fasce d'età e nei tempi consigliati, in associazione o in alternativa all’HPV test a seconda dei programmi di screening.
  • L'efficacia del vaccino è dimostrata per circa 20 anni, ma ulteriori studi sono in corso per verificare se e quando vi sia un calo della copertura anticorpale e la necessità di una eventuale dose di richiamo.

Per approfondire

Esistono circa 200 ceppi di virus del Papilloma umano (HPV), più di 40 sono quelli in grado di infettare il tratto genitale ma solo alcuni sono cancerogeni e si definiscono HPV ad alto rischio. Altri definiti a basso rischio sono la causa dei condilomi, lesioni veneree sostanzialmente benigne anche se altamente contagiose. Alcuni ceppi e in particolare il 16 e il 18, sono da soli responsabili del 70 per cento circa dei casi di tumore della cervice e contro di essi è stato messo a punto il primo vaccino anti-HPV, disponibile dal 2006. Solo in seguito è stato introdotto un vaccino quadrivalente che protegge anche contro i ceppi 6 e 11, associati al 90 per cento dei casi di condilomi.

Nel 2017 a questi due si è aggiunto un terzo vaccino, detto 9-valente, che oltre a HPV 6, 11, 16 e 18, assicurerebbe la protezione contro altri cinque sierotipi (31-33-45-52-58) capaci di indurre il cancro, raggiungendo così l’obiettivo di proteggere dal 90 per cento circa dei tumori dipendenti da HPV.

Secondo i dati calcolati dai National Institutes of Health statunitensi, il virus HPV è responsabile della quasi totalità dei tumori della cervice uterina, del 95 per cento dei tumori dell'ano (per lo più dovuti al virus 16), del 70 per cento dei cancri dell'orofaringe (in cui la trasmissione virale avviene attraverso il sesso orale), del 65 per cento dei cancri della vagina, del 50 per cento dei cancri della vulva e del 35 per cento dei cancri del pene. Si tratta di stime, non di dati esatti, per cui è possibile trovare valori discordanti forniti da fonti altrettanto attendibili che li hanno però calcolati con criteri differenti. Esistono inoltre condizioni epidemiologiche diverse tra i diversi Paesi. In Italia, per esempio l’impatto dell’infezione sui tumori del cavo orale sembra inferiore rispetto all’azione di alcol e fumo, per cui questi agenti virali sono stati riconosciuti responsabili del 26 per cento dei tumori dell’orofaringe (inclusi i tumori delle tonsille e della base della lingua) (fonte Epicentro), contro il 70 per cento degli USA.

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha sostenuto fin dall'inizio l'introduzione della vaccinazione, il 5 per cento di tutte le forme di cancro nel mondo è associata all'infezione da HPV.

Nei Paesi più sviluppati, grazie alla maggiore disponibilità di preservativi, a una migliore conoscenza delle malattie sessualmente trasmissibili e agli screening oncologici, l'HPV è responsabile del 3 per cento di tutti i tumori femminili e del 2 per cento di quelli maschili.

Chi deve vaccinarsi e a che età?

Alla luce dei dati disponibili, l'OMS ha consigliato inizialmente la vaccinazione di tutte le ragazze prima dell'inizio dell'attività sessuale. Il momento critico per il contagio, infatti, è nell'adolescenza e nella prima giovinezza, anche se l'effetto mutageno del virus è lento, per cui i tumori compaiono anche diversi decenni dopo. Dato che le statistiche dimostrano che una alta percentuale di ragazze ha il primo rapporto sessuale intorno ai 13 anni, l'Italia, come molti Paesi europei, ha stabilito che la vaccinazione debba essere fatta a 12 anni.

Ciò non significa che non si possa posticiparla, ma in quel caso si esce dal programma vaccinale pubblico e bisogna procedere privatamente.

È bene sapere, inoltre, che l'HPV è un virus molto diffuso. Uno studio condotto negli Stati Uniti dimostra che il 42,5 per cento delle donne tra i 19 e 59 anni di età è stato contagiato, anche se non tutte le infezioni si sviluppano clinicamente.

Per questo si riteneva meno utile procedere alla vaccinazione di persone già sessualmente attive, anche se l’Advisory Committee on Immunization Practices della Food and Drug Administration ha stabilito che è comunque opportuno vaccinare le ragazze dai 12 ai 26 anni e i maschi dai 13 ai 21 anni (estendendo l’età massima di vaccinazione ai 26 anni nei maschi omosessuali), anche perché non disponiamo di un test in grado di verificare tutte le possibili infezioni pregresse ma solo test capaci di identificare il DNA virale presente nelle cellule durante un'infezione acuta.

Nella maggior parte dei casi di contagio, il sistema immunitario è in grado, dopo un po' di tempo, di eliminare il virus. Il problema è che non siamo in grado di identificare in anticipo chi riuscirà a guarire spontaneamente e chi no. Inoltre, finché il virus non viene eliminato, la persona può a sua volta contagiare i propri partner sessuali. Vaccinare le donne mette al riparo dalla trasmissione sessuale del virus anche i maschi eterosessuali, ma non gli omosessuali. Per questo secondo i National Institutes of Health e l'OMS è opportuno vaccinare anche gli adolescenti maschi, come prevede in Italia il Piano Nazionale Prevenzione Vaccini 2017-2019.

Inoltre numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia della vaccinazione anti-HPV nelle donne adulte fino ai 45 anni. La vaccinazione è stata approvata fino a questa età sulla base del riscontro di un aumento nella prevalenza dell’HPV nella fascia tra 35-44 anni.

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Il vaccino è efficace?

Uno studio condotto in Australia, dove il vaccino quadrivalente è stato introdotto molti anni fa a tappeto fra le ragazze, ha dimostrato che dopo soli quattro anni dalla sua somministrazione vi è stata una riduzione dell'85 per cento dei casi di condilomi. Più difficile è stabilire l'impatto della vaccinazione sui casi di tumore: per avere dati certi bisognerà attendere qualche decennio, dato il lento sviluppo della malattia. L'efficacia sulle malattie sessualmente trasmissibili, che è rapidamente misurabile, è considerata però dagli esperti un indice indiretto di efficacia della profilassi antitumorale.

Il vaccino è rischioso?

Il vaccino contro l'HPV è al momento uno dei più sicuri. Nella maggior parte dei casi comporta solo lievi disturbi locali nel sito dell'iniezione e talvolta qualche linea di febbre. Recentemente sono state condotte due importanti revisioni sulla sua sicurezza. Nella prima, effettuata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta, sono emersi alcuni casi di svenimento senza conseguenze (sempre che la persona sia tenuta sotto osservazione per una mezz'ora dopo l'iniezione) e un lieve aumento dei casi di trombosi venosa in donne considerate già a rischio (per esempio perché assumono ormoni). Un'analoga revisione condotta in Danimarca e Svezia non ha mostrato differenze, nella sicurezza del vaccino, tra le donne vaccinate e quelle non vaccinate.

Perché bisogna continuare a usare il preservativo e fare lo screening per il tumore dell’utero anche se si è vaccinate?

C’è il timore che le ragazze, sentendosi protette, non usino il preservativo necessario contro altre malattie a trasmissione sessuale. Alcune ricerche hanno tuttavia evidenziato che proprio il fatto di sottoporsi alla vaccinazione consente alle ragazze di informarsi e riflettere sul tema e diventare più consapevoli sul tema delle malattie a trasmissione sessuale rispetto alle ragazze non vaccinate.

Inoltre c’è il rischio che le persone vaccinate contro l’HPV non si sottopongano più allo screening con Pap test o HPV test (esame minimamente invasivo che identifica le lesioni precancerose della cervice, consentendo di eliminarle prima che si sviluppi un tumore). Il vaccino previene nel migliore dei casi il 90 per cento dei casi di tumore della cervice uterina, non la totalità: per questo lo screening resta uno strumento necessario di diagnosi precoce. È possibile però che, grazie all'efficacia della vaccinazione, il tempo tra un controllo e l'altro possa essere, in futuro, ampliato e che si ritardi l’inizio dello screening a 30 anni.

Si stima che attualmente in Italia il programma di screening permetta di diagnosticare ogni anno circa 130.000 casi di lesioni precancerose che, con la diffusione del vaccino, dovrebbero ridursi drasticamente. Nel 2012 si stima che siano stati diagnosticati in Italia 1.515 nuovi casi di carcinoma della cervice e si siano verificati 697 decessi, con un andamento in forte e continua riduzione in tutto il Paese (fonte Epicentro).

 

Quanto a lungo dura l'immunizzazione?

Il vaccino antiHPV ha circa 10 anni di vita sul mercato e circa 20 anni di osservazioni cliniche. Al momento sembra che la copertura duri dai 10 ai 20 anni (20 se si tengono in considerazione anche gli studi che hanno valutato la permanenza degli anticorpi nel modello animale, 10 se consideriamo solo gli studi sull'uomo), ma ulteriori studi sono in corso per valutare la durata sul lungo periodo. Nel caso in cui, come accade per altri vaccini come quello contro il tetano, si dovesse notare un calo di copertura dopo un certo numero di anni, si potrà procedere con dei richiami vaccinali.

  • Agenzia Zoe